CONCERTO A MAGGIO
"Le cose vere della vita non si studiano né si imparano, ma si incontrano", parola di Oscar Wilde. Aggiungerei "... e non si sa quando..." Ieri sera, nel corso di una serata di pioggia e vento degna del novembre più tradizionale, abbiamo incontrato il gruppo corale" el Portego" di Verona che fa della concreta solidarietà verso le etnie africane più povere uno degli scopi primari del suo esistere. Il coro ospite ha incontrato (mi auguro) la nostra solita calda accoglienza verso gli ospiti. Il pubblico ha incontrato il canto e la musica espresse in varie modalità, ma pur sempre comprensibili per i palati più diversi. Tutti i presenti hanno incontrato le parole asciutte ed efficaci del nostro sindaco, la dottoressa Boscaro, che ha richiamato la necessità di un cuore, sede di emozioni e sentimenti, protagonista nei confronti del cervello (il potere) e della pancia (l'avere). Insomma, ognuno di noi ha incontrato qualcosa di vero. E insieme... "occorre non smettere mai di cercare quello che non c'è". Un'affermazione che rasenta l'ossimoro, in realtà l'invito a non smettere mai di far lavorare la fantasia e di sognare cose che potrebbero essere, consentendo in più occasioni di disegnare un mondo diverso anche se veramente poco probabile. Se tutto ciò non deborda nel sogno malato o nel negativamente assolutorio, aiuta ad alimentare ingegno e inventiva per superare le avversità della vita e permette un'accettazione ragionevole di quasi tutto quello che ci accade. Le due cose insieme, infine, consentono di sposare il reale con il desiderato per comporre l'esistere. Ecco, dopo il concerto di ieri sera, mi chiedevo se il desiderato si fosse avverato. Se lo spettacolo proposto agli spettatori che avevano sfidato il brutto tempo fosse stato di buon livello e se le aspirazioni dei cantori si fossero realizzate. Abbiamo cantato con amici per gli amici, i sostenitori e i conoscenti, sotto la cappa della comprensibile tensione che serpeggia quando devi esibirti davanti ad attori importanti del tuo quotidiano. Abbiamo cantato per festeggiare l'arrivo della primavera: la stagione delle rose, dei grilli e della rinascita. A me pare che l'esibizione della Corale sia stata decorosa ma il dubbio è sempre dietro l'angolo... e se fosse un moto autoreferenziale simile a quello di tanti gruppi dirigenti del nostro Paese? Certo, qualche sbavatura è apparsa tra gli accordi e le voci non sempre sono state ferme, ma l'impegno è stato certo e importante, da parte di tutti. E allora sorge "la" domanda. Quando l'impegno e il risultato assoluto non sono del tutto sovrapponibili, qual è la cosa più importante: il primo o il secondo? Prescindendo da una "ragionevole" soddisfazione che deve scaturire dal tuo operato, credo che la risposta si celi in quello che vuoi dal cantare in un coro e, più in generale, dalla vita. Se metti in prima fila la condivisione, il ragionevole sacrificio, il dare e ricevere, il buono della diversità, la pari dignità delle voci nel riconoscimento dei valori singoli, la gioia di rivedere regolarmente volti amici, un'attività scacciapensieri, una stampella per le tue fragilità e la soddisfazione della parte più segreta dell'anima, allora è di gran lunga più importante l'impegno, nella speranza di riuscire a dare il meglio di te. Se invece, sotto sotto, sei sempre in gara con il contesto cui appartieni e il mondo che ti circonda, se l'ego ti punzecchia con costanza, se ti piace specchiarti e vivi l'ansia dell'altrui sottovalutazione, se lo stimolo a vincere è irrefrenabile quanto la smania di apparire, se temi di mettere in discussione la tua presunta reputazione, allora il risultato diventa timone e traguardo della corsa. Questo, di per sè, non è un male: da sempre la competizione rappresenta uno stimolo importante dell'evoluzione. Diventa, a mio avviso, un male quando finisce per essere l'unico motore e fine della corsa, una corsa che smette d'essere di squadra e che troppo spesso interrompi, per bearti di te... Mah! lascio perdere le riflessioni per occuparmi di cronaca. Devo dire che l'ascolto di due cori diversi nel repertorio ha consentito, come sempre, un maggior divertimento per tutti. La sala del centro civico di Fossò non è il top per l'acustica, ma i coristi si son dati da fare e, alla fine, mi pare che i risultati siano stati di soddisfazione. Il repertorio ha permesso a virilità e dolcezza di mescolarsi in modo opportuno, proprio nel segno di quella stagione che abbiamo voluto festeggiare. Sul dopo, ci vorrebbe un'intera pagina per descrivere la meritata carburazione capace di scacciare il calo di zuccheri seguente lo sforzo del canto. Protagonista anche un amico corista, provato da un recente lutto familiare, abbastanza sereno e voglioso di distribuire una pasta all'Amatriciana di buon spessore seguita da tartine, panini, dolci casalinghi (evviva le nostre coriste e la Pro Loco) e fragole. Come sempre, il cibo e la sua condivisione, l'appetito istigato dalla tavolata, il canto libero e la presenza di colleghi particolarmente simpatici sono la panacea di quasi tutti i mali, almeno di quelli terreni. Abbiamo finito con un brano classico: "Signore delle cime", cantato a "reti unificate" tra i gridolini di una bambina di un anno e mezzo (beata lei!) incuriosita dal mio scimmiottare il verso della gallina e il miagolio di un gatto, che non voleva saperne di mettersi a nanna. Non c'è nulla da fare, è la forza di una vita nuova, anzi della... primavera della vita! Ciao a tutti, un abbraccio e buona domenica.
Alberto Coletto
Fossò, 7 maggio 2017