I TRENT'ANNI DEL CORO

Non amo troppo le celebrazioni. E non tanto per un mio essere un po' introverso, quanto perchè troppo spesso scadono nella retorica e non riescono a distillare l'essenza di quello che si vuole affermare e ricordare. D'altro canto la celebrazione è un rito che accomuna e, spesso, riesce a sanare ferite piccole e grandi, togliendo qualche ruggine rimasta per troppo tempo tra le pieghe di esistenze divenute parallele. In nome di un passato comune e di quel grande tesoro che è la condivisione, finisce per prevalere il compromesso nel suo senso migliore e non si guarda con troppa precisione la partita del dare e dell'avere. Alla data di  fondazione del coro, nel 1986, avevo poco più di quarant'anni, nessun capello bianco e ancora una vita di lavoro davanti. Avevamo passato la crisi degli anni Settanta e non si profilava ancora quella degli anni Novanta. La nostra zona, ricca di fermenti intellettuali e materiali, viveva un'epoca felice, o quasi, e la musica, il canto, quelle note spalmate sugli spartiti capaci di prendere vita e suscitare emozioni, parevano un naturale complemento agli stati d'animo di tutte le classi sociali. E dunque, anche a Fossò, era nato un coro di voci miste. La nascita di un gruppo che persegue interessi legittimi, musicali o meno che siano, è sempre un fatto straordinario. Stigmatizza la necessità umana di essere parte di un qualcosa più grande di noi, di poter trovare e dare sostegno, di imparare e insegnare, di distillare la prestazione individuale in un insieme che supera di gran lunga la mera somma dei singoli contributi, di accettare la diversità e di mescolarla nel segno di una pari dignità. Tutto quello che viene dopo, livello di prestazione compreso, è un risvolto meno profondo e importante, a patto che i partecipanti si diano al meglio delle proprie possibilità nell'ottica del bene comune. Quel bene di cui il nostro Paese ha smarrito la traccia, perdendosi in un appannamento che sembra non aver fine. Sono entrato nel coro di Fossò da pochi anni,  conosco solo parte della sua storia e non ho conosciuto parecchi di coloro che si sono succeduti tra i coristi. Trent'anni sono più di un terzo della vita media. Credo che ritrovare vecchi amici, per ascoltare e raccontarsi, permetta di materializzare i ricordi come le vecchie foto di un album. Consente, senza scadere nella rassegnazione, di accettarsi con maggior serenità e, soprattutto, di trarre forza dal passato per sperare nel presente e nel futuro. Grandi cose la speranza e gli amici. Assieme a una giusta determinazione, aiutano a superare le avversità, a vedere il bicchiere mezzo pieno, ad avere la capacità di indignarsi di fronte a torti e soprusi e il coraggio di reagire, per ripararli. Consentono di  gettar ponti verso il futuro per farci transitare i nuovi progetti. Fanno spuntare il sorriso tra le lacrime e rappresentano la vera invincibilità, intesa non come l'assenza di sconfitte, ma la capacità di condividere e assorbire le perdite, rialzarsi e proseguire il cammino verso il domani. I senza speranza e amici sono poveracci destinati a essere miserabili, qualunque sia il loro ceto sociale e le disponibilità economiche. La cerimonia ha vissuto due tempi. Il primo, complice la messa, ha permesso di cantare e ricordare chi non è più tra noi. Qualche occhio è diventato lucido al canto di "Amici miei", eseguito alla fine della messa  proprio in questa veste. Il secondo, conviviale, ha riunito attorno a tavole imbandite alcuni degli attori esibitisi nei trent'anni passati e qualche irriducibile sostenitore. Veder il riserbo di ormai scarse frequentazioni sciogliersi in pacche sulle spalle, ammiccamenti, sorrisi e brindisi sinceri ha fatto respirare a tutti una boccata d'aria fresca, lontana dallo stantio di riti stucchevoli e fasulli. Un'occasione per ribadire in allegria valori come la stima, il rispetto e l'amicizia che quasi diamo per scontati nell'intorno quotidiano ma che vengono troppo spesso appannati dall'utilitarismo che ci circonda. La lotteria di fine pranzo ha permesso alla dea bendata di distribuire, come al solito, gratificazioni slegate dagli effettivi meriti dei presenti, facendo scaturire qualche simpatico commento. Non è mancata nemmeno l'esecuzione di un paio di canti inclusivi, con coristi vecchi e nuovi per irrobustire il volume del canto. Un grazie a chi si è speso per l'evento, Direttivo e Pro Loco in testa, ai coristi, al maestro, che riesce a mantenersi lucido nelle avversità, e all'amico Bruno, tenace sostenitore e produttore di CD/DVD commemorativi proprio azzeccati. Un grazie pure al Sindaco, sempre presente, e all'Amministrazione comunale, che ci sostengono anche materialmente. Un grazie infine alla musica e al canto, che permettono di estrarre da noi tutti sentimenti positivi, una grande serenità e un senso di vero appagamento.  Sinceri auguri a tutti, protagonisti di una festa che ha aiutato a riaffermare chi siamo e da dove veniamo.

      Alberto Coletto

Fossò, 23 ottobre 2016